Si inaugura il terzo centro per
disabili
del progetto “Simama” del Cesc-Project
Michelangelo Chiurchiù
Quando
arriviamo a Mbeya, la terza città della Tanzania, il salone della Chiesa cristiana moraviana - una
comunità religiosa protestante- è già
pieno: festa di colori delle mamme con i bambini sulla schiena, le autorità
nelle prime file, i medici del vicino ospedale, atmosfera delle grandi
occasioni.
Oggi
si inaugura il terzo centro diurno per
l'attività di riabilitazione con i bambini disabili del progetto “Simama” nel
quartiere Iyunga.
Il
paziente lavoro di una nostra operatrice, Giada, e del nostro referente locale,
padre Furaha, ha dato i suoi frutti: la comunità moraviana ha offerto
gratuitamente per tre anni uno spazio nel quale si ritroveranno 20 bambini
disabili, seguiti da due operatrici di base che svolgeranno attività
riabilitative monitorate dagli specialisti (fisioterapisti e medici)
dell’Ospedale di Mbeya.
Ancora
una volta per 20 famiglie, insieme alle 50 che già frequentano gli altri due
centri, la presenza della bambina o del bambino disabile, non sarà un peso da
portare nel silenzio e perfino con vergogna: siamo riusciti finalmente a
infondere speranza e far capire a molte mamme - sì perché nel 40% dei casi i
papà sono scappati quando hanno saputo della presenza del disabile- che il figlio può partecipare alla vita
sociale, può essere inserito a scuola, può acquisire un'autonomia, la più ampia
possibile.
All'inaugurazione
del centro partecipano molte autorità civili e religiose: il sindaco della
città di Mbeya, un deputato locale, i rappresentanti delle comunità religiose.
Due
cose colpiscono agli occhi di noi occidentali che siamo gli invitati di
riguardo in questa festosa manifestazione.
Prima
di iniziare a parlare tutti salutano con tre formule: “Tumsifu Yesu Cristo” (Sia lodato Gesù Cristo), “Bwana Yesu Asifiwe” (Lode al Signore
Gesù), “Salama” (Pace).
Sono
i saluti dei cattolici, dei luterani, degli islamici.
È
un segnale importante in un Paese, come in molte nazioni dell'Africa sud
sahariana, dove le tensioni e gli scontri religiosi hanno causato in questi
ultimi mesi numerose vittime tra la popolazione civile. Ma in nome del servizio
alle persone più fragili e alle loro famiglie tutti offrono il proprio
contributo e si ritrovano uniti.
Il
secondo elemento che colpisce è il protagonismo delle famiglie dei disabili.
Quando
parla il loro rappresentante - un papà molto energico - si capisce con chiarezza che la strada
intrapresa è quella giusta. Abbiamo lavorato molto perché le mamme e i papà dei
nostri bambini prendessero
consapevolezza dei loro diritti, fossero
capaci di rivendicarli davanti ai responsabili delle comunità locali per
ottenere quei servizi minimi che la legge garantisce loro: l'inserimento
scolastico, insegnanti dedicati, fondi per pagare gli operatori che sono
presenti.
Quando
parliamo e diciamo che l'obiettivo del nostro progetto non è solo quello di
promuovere dei servizi, ma di dare
sostenibilità nel tempo ad una iniziativa è tutta rivolta ai loro figli,
vediamo gli occhi dei presenti che si illuminano e tanti cenni di assenso.
Un'esplosione di gioia attraversa la sala quando, per concludere, diciamo in swahili: “Twende pamoja”- Andiamo avanti insieme !
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