lunedì 4 novembre 2013

"Questione ROM". Andare oltre i pregiudizi !





Non è certo il solo pregiudizio a resistere inossidabile nel tempo, ma ogni  volta che capita di leggere sui giornali o di ascoltare le parole “campo nomadi” viene da chiedersi: ma in che mondo credono ancora di vivere queste persone che si ostinano a non vedere la realtà? Perché il mondo di rom, sinti e camminanti non è più, certo, quello dei secoli scorsi. Quello di famiglie e comunità che vivevano di piccoli commerci, di lavori artigianali, di spettacolo viaggiante e, soprattutto, di espedienti. E che, trainati dai loro cavalli prima e più recentemente da più moderni e confortevoli automezzi hanno seguito gli storici percorsi di quei popoli nomadi che muovevano dalla lontana India, ma anche dalla più vicina Sicilia. Quelli che lungo la costa africana li portavano fino a Gibilterra e da lì in Andalusia. Quelli che lungo il Danubio erano diretti verso il nord dell’Europa o che, attraversando l’Adriatico, sbarcavano in Abruzzo per poi diffondersi in Italia. E non a caso si chiamano Rom Abruzzesi. Ultime le famiglie giunte in Italia a partire dagli anni ’70 a seguito della crisi jugoslava e della devastante guerra in Bosnia.

Tutte realtà e comunità, queste, che vivono ormai stabilmente nelle nostre città e da più generazioni. Molti risiedono in normali civili abitazioni o in case popolari regolarmente assegnate. In tanti lavorano nelle più diverse attività. In troppi, però, sono relegati nei cosiddetti campi in condizioni di precarietà economica, ma anche in molti casi giuridica. Questo perché, poco o male informati, non si sono avvalsi di sanatorie o di normative che avrebbero consentito loro di ottenere un regolare permesso di soggiorno o, perfino, la cittadinanza italiana.

Può succedere così che un ragazzo o una ragazza nati in Italia da genitori nati in Italia, con nonni o bisnonni nel nostro Paese da almeno quarant’anni, che sono stati regolarmente vaccinati, che hanno adempiuto all’obbligo scolastico, che fanno il tifo per la squadra della loro città, al compimento del diciottesimo anno di età si trovino nella scomoda condizione di “immigrati clandestini”. Ma, immigrati da dove? In tanti addirittura finiscono nei famigerati CIE, centri di identificazione per l’espatrio. Ed anche questo spinge tanti giovani ai margini della società e, purtroppo, anche ai margini della legalità.

E’ ormai tempo di abbattere i pregiudizi e liberarsi dei tanti luoghi comuni. I cosiddetti “zingari” non rubano bambini…con quello che costano! I cosiddetti “zingari” vorrebbero un lavoro…ma chi li assume? I cosiddetti “zingari” non vogliono vivere “parcheggiati nei campi sosta”, perché ormai sono in sosta da troppo tempo…e cercano casa.

E’ tempo di cambiare strada, in particolare nelle politiche locali. Lo ha fatto Padova con il cosiddetto Villaggio della Solidarietà, case in muratura autocostruite da quelle famiglie. Lo hanno fatto a Reggio Calabria con il progetto Lacio Gave e più recentemente a Napoli, Scampia e Secondigliano nella raccolta differenziata dei rifiuti. Lo hanno fatto imprese che hanno assunto quei ragazzi, poche ancora, e famiglie che hanno chiamato quelle ragazze a collaborare in casa. Altri hanno fatto da soli, i sinti con le loro giostre. Altri ancora hanno trovato lavoro spacciandosi per immigrati slavi…che tocca fare per vivere!
La Comunità di Capodarco non è nuova al tema rom. Non lo è stata nella sua storia accogliendone più d’uno, perché la condizione di disabilità non sempre era compatibile con le condizioni di vita di quelle famiglie. Non lo è stata nei tempi più recenti con la Cooperativa Ermes, che è intervenuta nei campi, in particolare con un concreto sostegno alla frequenza scolastica di tanti bambini ed adolescenti, o con gli operatori della formazione professionale che hanno accompagnato alcuni di quei giovani verso un’occupazione. Ed anche con nostre famiglie che hanno saputo costruire solidi rapporti di amicizia e di collaborazione frequentando i campi.



Ma occorre fare di più e va in questa direzione la proposta che la Comunità di Capodarco ed il Consorzio Bastiani con la società Leroy Merlin hanno recentemente presentato al Comune di Roma e che da qualche giorno appare sul nostro sito. Vogliamo cancellare la vergogna del campo La Barbuta e realizzare abitazioni civili in muratura con i necessari servizi, coinvolgendo gli stessi rom nella costruzione e nella gestione del villaggio. Vogliamo offrire con adeguati impianti a quei giovani nuove opportunità di lavoro nella raccolta differenziata. Vogliamo affidare alle famiglie ed ai ragazzi del posto, non solo rom, spazi per attività sociali, educative e culturali.

Una sfida, forse, prima di tutto a noi stessi. Ma anche, soprattutto, un progetto che può aiutare a cancellare per sempre quell’etichetta impropria, quel “nomadi” che non si addice più a persone, famiglie e comunità, certamente legate alla loro cultura ed alla loro storia, ma che vorrebbero finalmente essere considerate appartenenti a pieno titolo, con i relativi diritti e doveri, alle nostre comunità cittadine.




Augusto Battaglia

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