Lettera aperta di Mons. Bettazzi all’On. Giuseppe
Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, pubblicata il 3 luglio
2018 su Primo Piano
Scrivo questa
lettera sul tema scottante degli immigrati (e la scrivo da un edificio
diocesano che ne ospita). Lo faccio non come antica autorità
religiosa al Presidente di un Governo “laico” (anche se un autorevole membro
del Suo Governo ha sbandierato, sia pure in campagna elettorale, simboli
apertamente religiosi, anzi cristiani, quindi compromettenti) soprattutto dopo
i costanti, appassionati appelli di Papa Francesco e le autorevoli istanze dei
responsabili della CEI.
Lo faccio come
cittadino dell’Italia che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a
quanti, nel loro paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche; lo
faccio come cittadino dell’Europa che, nella Carta dei diritti fondamentali,
afferma: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e
tutelata”.
Ci siamo resi conto
che Lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce
dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei
rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni
tradizionalmente più “cristiane”) e dell’incapacità dell’insieme di mantenere
le tradizioni “umane” del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della
sua unità. Mi lasci dire che siamo - parlo di tanti di cui ho colto il pensiero
- altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi,
l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo “forse” se guardiamo
al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico)
comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a
vite umane.
Siamo tanti a non
volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci
sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e
continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e
da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di
una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili.
Non ignoriamo che i
problemi sono immensi, dai rapporti con Paesi che noi - Europa tutta - abbiamo
contribuito a divenire ciò che essi spesso sono (costruttori di lager e tutori
di brigantaggi), a quelli con i Paesi di partenza degli immigrati (con cui già
i Governi precedenti avevano progettato iniziative, sempre fermate al livello
di progetti).
Vorremmo davvero che
l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi
cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la
storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere.
Al di là di
un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio (“prima gli
italiani” - quali italiani? - o “prima l’umanità”?!), credo che, nell’interesse
della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e
debba essere - per sé e per tutta l’Europa - pioniera di accoglienza, controllata
sì, ma generosa.
Con ogni augurio e
molta solidarietà.
Albiano d’Ivrea, 2
luglio 2018 + Luigi Bettazzi - Vescovo emerito di Ivrea
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